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Ahmed Al-Fardan, il fotografo dell’agenzia dell’Aquila Nurphoto che fece conoscere al mondo la rivolta del Bahrain, è stato arrestato nella sua abitazione la mattina del 26 dicembre. Ancora oggi non è noto dove sia stato trasferito e di cosa sia stato accusato.
Le foto di Al-Fardan hanno fatto il giro del pianeta, sono state pubblicate da importanti testate e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Un mese fa, Al-Fardan è arrivato secondo al premio internazionale dell’Ifex, indetto il 23 novembre in occasione della Giornata internazionale per porre fine all’impunità.
Al-Fardan paga il prezzo per aver violato una delle principali regole del governo della famiglia reale Al-Khalifa: non far sapere all’estero cosa accade nel paese, non danneggiare la cortina fumogena di pubbliche relazioni e solenni proclami sui diritti umani con cui le autorità cercano d’ingannare i governi – ben disposti a farsi ingannare – dei paesi alleati e protettori, Usa e Regno Unito.
Ad agosto, uomini in borghese gli avevano teso un agguato, sequestrandolo per alcune ore, picchiandolo e minacciandolo di conseguenze peggiori se non avesse cessato di fotografare le proteste.
Soprattutto, Al-Fardan paga il prezzo per aver chiesto la liberazione dei suoi colleghi. Nel suo ultimo tweet, lunedì 23, aveva chiesto il rilascio di Ahmed Humaidan, in carcere da un anno per aver preso parte e scattato immagini alle manifestazioni contro il governo. Al-Fardan era anche sceso in piazza per il suo collega.
Un terzo fotografo, Hussein Hubail, è in carcere da agosto in attesa del processo.
A proposito di processi, uno che si è concluso in questi giorni dimostra come funziona la giustizia in Bahrein. Mentre nelle carceri del paese languono decine di prigionieri di coscienza, due agenti di polizia sospettati di aver torturato medici che avevano curato i feriti delle proteste sono stati assolti in appello: uno dei due imputati, la poliziotta Noora bint Ibrahim Al-Khalifa, fa parte della famiglia reale…
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