La monarchia del Bahrain, come sanno i lettori e le lettrici del mio blog, l’unico a seguire le vicende di questo piccolo regno del Golfo persico, non tollera le critiche. Oppositori e attivisti pacifici stanno scontando ergastoli o molti anni di carcere per reati di opinione. Tra questi, Abdulhadi al-Khawaja, il più noto difensore dei diritti umani del paese.
Da ultimo, Zainab al-Khawaja, una delle sue figlie, è stata condannata, 48 ore fa, a due mesi di carcere per aver distrutto “proprietà del governo”, ossia aver fatto a pezzi una foto del re.
L’immagine che vedete sopra è tratta da Al Watan, quotidiano vicino al governo, che il 23 settembre ha pubblicato un articolo chiamato “La lista delle persone che hanno diffamato il Bahrain a Ginevra”: accanto al testo, nomi e fotografie dei “diffamatori”. In precedenza, Al Watan aveva riportato una dichiarazione del Consiglio della Shura, il principale organo legislativo del paese, secondo la quale “chiunque danneggi l’immagine del paese è un traditore che non merita di essere cittadino dello stato”. Il 24 le minacce di morte non si sono fatte attendere.
Che hanno fatto le persone che “hanno diffamato il Bahrain a Ginevra”?
Hanno preso parte a una riunione del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, convocato per esaminare la situazione dei diritti umani in numerosi paesi, tra cui il Bahrain: un meccanismo chiamato Esame periodico universale.
Dal 13 al 19 settembre, difensori dei diritti umani ed esponenti della società civile bahrainita hanno preso parte a conferenze pubbliche ed eventi paralleli e hanno rilasciato una dichiarazione al Consiglio dei diritti umani.
Particolarmente preso di mira è stato Mohammed al-Maskati, presidente della Società dei giovani per i diritti umani del Bahrain. Secondo quanto ha raccontato ad Amnesty International, nella settimana in cui è stato a Ginevra ha ricevuto una quindicina di telefonate anonime in cui veniva chiamato “traditore” e “agente dell’Iran” e minacciato di morte non appena avesse rimesso piede nel paese.
Questa maniera riprovevole di additare e minacciare a mezzo stampa chi denuncia le violazioni dei diritti umani non è nuova nel Bahrain.
Esattamente un mese fa, il Segretario generale Ban Ki-moon aveva presentato un rapporto sulle rappresaglie subite dalle persone che avevano collaborato alle attività degli organismi dell’Onu che si occupano di diritti umani. Il rapporto conteneva un riferimento alle intimidazioni e alle minacce contro i difensori dei diritti umani del Bahrain e menzionava due quotidiani del paese, Gulf Daily e il noto Al Watan.
Alla luce delle minacce subite da Mohammad al-Maskati, il 20 settembre Amnesty International aveva sollevato il suo caso in un incontro col ministro per i diritti umani del Bahrain, ricordando che la responsabilità di proteggerlo ricade sulle autorità del paese. Il ministro ha replicato invitando l’organizzazione a suggerire alle persone minacciate di presentare una denuncia formale alla magistratura.
Quella stessa, peraltro, che condanna all’ergastolo i prigionieri di coscienza.
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