Fidel Castro disse che «una rivoluzione è una battaglia a morte tra il futuro e il passato». Queste parole non potrebbero suonare più vere in Bahrain dove, dal 2011, un intero popolo sta combattendo contro le regole vecchie di duecento anni della monarchia di Al Khalifa per reclamare ciò che considera il diritto più basico, inalienabile e fondamentale, quello all’autodeterminazione politica.
Trascurati dai mezzi di comunicazione occidentali in favore della correttezza politica e degli interessi geopolitici, gli eventi del Bahrain sono arrivati raramente alle prime pagine, fatto che ha permesso al regime del Paese di attaccare l’opposizione a proprio piacimento, convinto del fatto che queste azioni, benché criticabili e illegali, sarebbero rimaste nascoste, che il suo sistema sarebbe stato protetto e la sua eredità preservata. Sembrava che un solo individuo non potesse far nulla contro il potere, ma l’arresto e la condanna di un solo uomo, lo sceicco Ali Salman, capo della Società Islamica Nazionale Al Wefaq, si è presto rivelata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Lo sceicco Salman, apertamente critico verso la monarchia del Bahrain, è arrivato a rappresentare molto più delle ambizioni democratiche del Paese; per centinaia di migliaia di concittadini, questo religioso carismatico e determinato è diventato il simbolo stesso dello spirito della rivoluzione. Se gli abitanti del Bahrain avevano bisogno di una spinta per sormontare l’ultimo ostacolo imposto dalla paura e per far unire tutta la popolazione senza distinzioni di classe, credenze religiose e affinità politiche fino a creare un’ondata rivoluzionaria, l’hanno trovata nella condanna a quattro anni di prigione inflitta allo sceicco Salman per le campagne contro il regime.
Come spesso succede nei regimi dittatoriali, i despoti sono troppo accecati dalle proprie ambizioni e dalla paranoia per rendersi conto di quanto la violenza stia alimentando la fiamma del dissenso che li porterà a cadere. Ogni impero e ogni sistema di governo corrotto raggiungerà sempre il punto in cui il nuovo annienterà il vecchio e farà predominare il volere popolare a quello dell’élite. Per il Bahrain, quel giorno è arrivato.
A poche ore dalla sentenza contro lo sceicco Salman, Al Wefaq e varie organizzazioni in difesa dei diritti umani avevano già condannato il risultato e tacciato la decisione del re Hamad bin Issa Al Khalifa di sopruso giudiziario. In una dichiarazione pubblicata sul proprio sito internet, Al Wefaq ha scritto: «la Società Nazionale Islamica Al Wefaq considera il verdetto contro lo sceicco Ali Salman nullo e carente di validità legale e giuridica, così come affermato dai difensori dell’accusato, un gruppo di legali di prestigio». Amnesty International ha definito sconvolgente la decisione di Al Khalifa. Dirigendosi ai gruppi in difesa dei diritti umani, ha affermato che «la detenzione dello sceicco Salman e il processo a suo carico violano gli obblighi del Bahrain a rispettare il diritto alla libertà d’espressione inclusi nell’articolo 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici di cui è parte il Bahrain».
Lo sceicco Salman, che è stato in prigione fin dall’arresto a dicembre, è stato assolto dalle accuse di incitamento contro il sistema di Governo. Per cercare di coprire le proprie azioni e perpetuare l’illusione di un sistema giusto e imparziale, le autorità giuridiche del Bahrain hanno invece deciso di accusarlo di ‘collusione coi governi stranieri e istigazione ai disordini’.
Maryam Moosa Ali, attivista in difesa dei diritti umani di base a Manama, ha dichiarato che l’arresto dello sceicco Salman non farà altro che alimentare la rivoluzione e rafforzare la risoluzione giovanile a detronizzare la monarchia. «Mentre noi continuiamo a rispettare i principi della non‑violenza, la decisione del regime contro la principale figura del nostro movimento rivoluzionario ha sancito il destino della monarchia. Non c’è più spazio per il dibattito; se prima i cittadini volevano negoziare e arrivare a un compromesso, ora non è più così», ha dichiarato. Con la rabbia che pervade il regno isolano, le manifestazioni di piazza sono già in fase di organizzazione. «I cittadini del Bahrein non tollereranno ulteriori soprusi contro la libertà d’espressione e i diritti umani», ha aggiunto Maryam Ali.
Aldilà della gente contro il proprio despota, esiste anche un’altra verità dietro questa rivoluzione, vale a dire che i cittadini non stanno solo chiedendo un cambio democratico, ma vogliono anche eliminare l’apartheid religioso guidato dallo Stato. La lotta del Bahrain, quindi, non è solo politica. Nonostante l’élite di Governo sunnita del Bahrain voglia negare a ogni costo le azioni scorrette della setta affermando l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge indipendentemente dalla religione e dall’etnia, la realtà mostra tutt’altro.
Per 200 anni, tranne alcuni periodi agli inizi degli anni novanta durante il Governo dell’allora emiro Hamad Al Khalifa, le politiche discriminatorie contro la popolazione sciita del Bahrein sono state il filo conduttore della monarchia. Fingendo di riportare l’ordine, il re Hamad ha autorizzato e diretto la distruzione delle moschee, delle scuole, delle case e delle imprese sciite. Non essendo abbastanza per frenare l’impeto rivoluzionario dei cittadini, le autorità hanno anche deciso di ridurre la popolazione sciita portando nel paese stranieri approvati dai sunniti e cancellando la nazionalità agli sciiti del Bahrein. Nel settembre del 2014, all’arrivo all’aeroporto di Manama, Maryam Al Khawaja, personaggio di spicco della difesa dei diritti umani e sciita del Bahrein, era stata informata della revoca della sua cittadinanza da parte del re. Il suo caso era arrivato sulle prime pagine dei giornali, ma tanti altri no.
Questo tipo di pratiche, ovviamente, erano assolutamente illegali e immorali, e sono servite a mostrare il vero aspetto dell’ira di Al Khalifa contro il proprio popolo. Vassalla della ricca Arabia Saudita, la monarchia del Bahrein non è altro che l’estensione del volere di Al Saud nella penisola araba; allo stesso modo, la campagna antisciita e antidemocratica non è stata altro se non l’espressione dell’eredità di Riyadh Wahhabi.
La monarchia del Bahrain continua a tirare la corda del proprio popolo, senza rendersi conto che ad ogni azione corrisponde una reazione opposta di uguale intensità.
Traduzione di Emma Becciu
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