La “primavera” dimenticata in Bahrain compie due anni e Amnesty International lancia, e invita a firmare un appello per la scarcerazione di 13 prigionieri, difensori dei diritti umani e condannati all’ergastolo per reati inesistenti.
Gran parte del mondo, questo piccolissimo e ricchissimo arcipelago, lo conosce solo come tappa del Gran premio di Formula 1, eppure da due anni si combatte una rivoluzione silenziosa. E il silenzio, quello, lo ha imposto la complicità della gran parte dei media occidentali, che tacciono la tragedia del popolo bahranita.
Al centro delle rivendicazioni, non vi è solo una ribellione alla protervia che la minoranza sunnita al potere usa per imporsi su una maggioranza sciita, ma la domanda che si leva a gran voce è quella di riforme che garantiscano il rispetto dei diritti civili e politici, attualmente inesistenti.
Nel piccolo stato del Golfo, la violenza utilizzata per sedare il dissenso non conosce limiti, grazie anche al sostegno offerto dalle orde di uomini armati provenienti dai regni amici di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Era il 14 febbraio del 2011 quando migliaia di uomini e donne si riversarono nella piazza della Perla, due anni dopo le sollevazioni non si arrestano nei villaggi lontani dalla capitale, dove oggi le forze di sicurezza hanno assassinato un giovane di 16 anni e il suo diritto alla libertà.
A due anni dall’inizio delle rivolte contro il potere della famiglia Khalifa, si contano centinaia di morti e feriti, mentre sono migliaia coloro che, dietro le sbarre, denunciano torture e maltrattamenti.
Il 4 settembre 2012 l’Alta Corte penale d ‘appello di Manama ha confermato la condanna per 13 attivisti dell’opposizione, dai cinque all’ergastolo, per accuse quali “la creazione di gruppi terroristici per rovesciare il sistema politico della famiglia reale e attentato alla Costituzione”.
A nessuno di loro e’ stato concesso il diritto di assistere al proprio processo.
Per firmare l’appello, clicca qui.
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