Bahrain, Gran Premio di sangue

di Michele Paris

Il Gran Premio di automobilismo in programma domenica prossima nel Bahrain andrà regolarmente in scena per il secondo anno consecutivo nonostante la persistente repressione messa in atto dal regime fin dal febbraio del 2011 contro i manifestanti che chiedono riforme e maggiori diritti democratici. In vista dello svolgimento delle prove e della gara vera e propria, gli attivisti del piccolo paese mediorientale hanno programmato nuove manifestazioni di protesta, già accolte con il consueto pugno di ferro dalle forze di sicurezza, nonché dalla sostanziale indifferenza dei vertici della Formula 1.

Già nei giorni precedenti l’arrivo delle varie scuderie in Bahrain, il regime guidato dal sovrano Hamad bin Isa al-Khalifa aveva adottato misure estreme nei confronti degli oppositori. Come ha raccontato mercoledì al Guardian l’attivista Ala’a Shehabi, sono stati presi provvedimenti per tenere i manifestanti lontani dalla capitale, Manama, mentre è stato imposto il divieto assoluto di organizzare qualsiasi forma di protesta. Di conseguenza, contestazioni e scontri con le forze di polizia sono stati registrati finora in località periferiche, lontano dagli occhi dei giornalisti giunti in Bahrain, così da non mettere troppo in imbarazzo il governo e gli organizzatori del Gran Premio.

A descrivere le attività delle forze del regime nei giorni scorsi è stato il portavoce dell’ONG Bahrain Center for Human Rights, Said Yousif, secondo il quale la nuova ondata di repressione in previsione della gara di automobilismo è iniziata “due settimane fa, in particolare nei villaggi che si trovano nelle vicinanze del circuito. 65 persone sono state arrestate, mentre i leader dell’opposizione, prima di venire rilasciati, hanno subito percosse e torture così da mostrare a tutti i segni” del trattamento a loro riservato.

Inoltre, per disperdere le proteste, la polizia ha fatto ampio uso di gas lacrimogeni, spesso sparati alla testa di alcuni manifestanti, come ha rivelato Human Rights Watch basandosi su testimonianze raccolte nel paese. La stessa organizzazione a difesa dei diritti umani giovedì ha poi emesso un comunicato sul proprio sito web, condannando l’organismo internazionale che governa la Formula 1, poiché “non ha fatto nulla per evitare gli abusi che sono stati commessi e che sono da ricondurre direttamente all’evento” sportivo.

Il disinteresse mostrato dai dirigenti della Formula 1 per la sorte degli attivisti e della maggioranza della popolazione del Bahrain appare tanto più grave alla luce del pesante bilancio degli scontri che erano avvenuti nell’edizione dello scorso anno. In quell’occasione, infatti, la risposta delle forze di sicurezza alle proteste prima della gara causò la morte di un manifestante, ucciso con un arma da fuoco dalla polizia dopo essere stato arrestato e picchiato brutalmente.

Secondo la responsabile per il Medio Oriente di Human Rights Watch, Sarah Leah Whitson, “gli organi della Formula 1 preferiscono nascondere la testa sotto la sabbia e rischiare che la gara venga disputata nonostante la repressione che l’evento stesso ha provocato”.

Le massime autorità dell’automobilismo internazionale, da parte loro, stanno cercando di mantenere un basso profilo in questi giorni e, quando pressati dalla stampa, hanno rilasciato dichiarazioni che celano a malapena il loro esclusivo interesse per le ragioni commerciali legate all’evento.

Il boss della Formula 1, il miliardario ultra-reazionario Bernie Ecclestone, qualche giorno fa aveva ad esempio affermato che in Bahrain non era in corso nessuna dimostrazione contro il regime, nonostante fossero già avvenuti arresti e violenti scontri nel paese.

Successivamente, l’imprenditore britannico – noto per avere definito Adolf Hitler “un uomo capace di ottenere risultati” e per avere spiegato che la democrazia è un sistema che “non è stato in grado di produrre cose positive in molti paesi” – è stato costretto a fare una parziale marcia indietro, sostenendo inoltre di essere disponibile ad incontrare i leader dell’opposizione al regime sunnita stretto alleato degli Stati Uniti e dell’Occidente.

Ecclestone ha poi ribadito quali siano le priorità dell’organismo di cui è a capo, aggiungendo che il suo desiderio e quello dei suoi colleghi d’affari è che “non ci siano problemi, che non si vedano persone che discutono o si scontrano per cose che noi non comprendiamo”.

Alla vigilia del Gran Premio del 2012, Ecclestone aveva effettivamente ricevuto a Londra e a Manama rappresentanti delle opposizioni ma dopo i colloqui aveva affermato che “risultava veramente difficile decidere chi avesse ragione e chi torto” tra i manifestanti sottoposti a continue violenze ed abusi da una parte e un regime dittatoriale che garantisce ai vertici dell’automobilismo mondiale guadagni milionari dall’altra.

Le questioni che il quarto uomo più ricco di Gran Bretagna afferma di faticare a comprendere sono in realtà evidenti a tutta la comunità internazionale, visto che le notizie degli assassini, delle torture, degli arresti arbitrari e delle discriminazioni ai danni degli oppositori del regime e della maggioranza sciita della popolazione del Bahrain sono state riportate dai media di tutto il mondo negli ultimi due anni, così come più di un titolo ha ricevuto nel marzo del 2011 l’ingresso nel paese delle forze armate saudite e di altri paesi del Golfo Persico per reprimere nel sangue le proteste di piazza.

A rompere il silenzio sul Bahrain è stato poi in questi giorni anche Jean Todt, presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) ed ex direttore generale del team Ferrari, il quale in una lettera alle locali ONG ha assurdamente comunicato che “il Gran Premio può avere un effetto positivo e benefico su una situazione nella quale gli scontri, il malessere sociale e le tensioni stanno causando sofferenze”.

La pretesa di Todt è semplicemente ridicola, dal momento che questa manifestazione, oltre ad avere determinato un’intensificazione della repressione del regime, finisce per beneficiare esclusivamente una ristretta cerchia di multi-miliardari che incassano somme astronomiche grazie al giro d’affari prodotto dalla gara.

La competizione nel Bahrain, secondo alcune stime, frutterebbe circa 40 milioni di sterline alla Formula 1, mentre l’evento muove complessivamente centinaia di milioni di dollari. Di fronte a queste cifre, è facile comprendere le ragioni per cui la gara è stata reinserita nel calendario della Formula 1 nel 2012 dopo la cancellazione dell’anno precedente.

Lo svolgimento dell’evento sportivo più prestigioso che ospita il Bahrain, infine, non ha contribuito minimamente al miglioramento della situazione nel paese, né a spingere la monarchia assoluta a fare concessioni significative. Come ha evidenziato ancora Human Rights Watch giovedì, infatti, “al contrario dell’impunità garantita alle forze di sicurezza [responsabili materiali della repressione delle proteste], il sistema giudiziario del Bahrain continua a perseguire i manifestanti pacifici”.

Lo scorso 7 gennaio, ad esempio, la Corte di Cassazione ha confermato lunghe condanne detentive per 13 dissidenti – tra cui 7 ergastoli – colpevoli soltanto “di avere esercitato pacificamente il loro diritto di espressione e di assemblea nel corso delle proteste del 2011”.

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