Bahrain, primo processo dell’anno per un difensore dei diritti umani

Al-Maskati_Bahrain

In Bahrain, Mohammed al-Maskati rischia di essere il primo prigioniero di coscienza del 2016.

Il 7 gennaio, se non vi saranno ulteriori rinvii (l’udienza era prevista il 22 dicembre 2015), la Corte d’appello deciderà se annullare o confermare la condanna a sei mesi di carcere inflittagli da un tribunale di primo grado il 31 dicembre 2014. Nel secondo caso, al-Maskati verrà arrestato e portato in prigione.

Sei mesi, che mi auguro al-Maskati non debba trascorrere in cella, sono paradossalmente un periodo di tempo breve se rapportato agli oltre tre anni di persecuzione giudiziaria nei suoi confronti.

Al-Maskati è il fondatore ed ex presidente della Società giovanile per i diritti umani del Bahrain ed è attualmente consulente per la sicurezza informatica presso Front Line Defenders, organizzazione non governativa che tutela i difensori dei diritti umani nel mondo.

La persecuzione giudiziaria inizia il 16 ottobre 2012, quando al-Maskati viene convocato per interrogatori presso la stazione di polizia di al-Hoora. Viene arrestato sul posto e, il giorno dopo, accusato di “rivolta” e “partecipazione a una riunione illegale”, per una protesta pacifica che si era svolta il 12 ottobre nel centro della capitale, Manama. Viene rilasciato dopo aver firmato una dichiarazione in cui accetta di rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Poche settimane prima, al-Maskati aveva preso parte a un incontro pubblico a Ginevra, a margine della riunione del Consiglio Onu dei diritti umani, in cui aveva denunciato la repressione in atto in Bahrain dalla “rivolta di San Valentino” del febbraio 2011. Tornato in patria, aveva ricevuto minacce di morte ed era stato al centro di una campagna diffamatoria dei mezzi d’informazione di proprietà della famiglia reale.

La storia si ripete nel 2013. Ad agosto, al-Maskati va a Ginevra per incontrare funzionari sui diritti umani delle Nazioni Unite e vari diplomatici. Torna in Bahrain e riparte la campagna di minacce. L’8 settembre prende parte a un incontro pubblico sui diritti umani a Jidhafs Town e un mese e mezzo dopo, il 22 ottobre, viene convocato per interrogatori alla stazione di polizia di al-Khamis. Stavolta è incriminato per “incitamento all’odio contro il governo”. Lo rilasciano, dopo aver sottoscritto ancora una volta l’impegno a rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Nel frattempo, nel giugno 2013, è partito il processo di primo grado per i fatti del 2012. Di rinvio in rinvio, si chiude il 31 dicembre 2014 con la condanna a sei mesi, che venerdì sarà discussa in appello.

Tredici organizzazioni non governative avevano lanciato un appello alla vigilia dell’udienza, poi rinviata, del 22 dicembre, per chiedere l’assoluzione di al-Maskati.

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