A quasi 5 anni dalla convocazione della prima “Giornata della Collera”, la Primavera bahreinita non sembra ancora essere finita. Ad inizio novembre la piccola Monarchia del Golfo è tornata ad ospitare una serie di proteste che hanno infiammato le strade di Manama per quasi una settimana.
Ad innestare il malcontento popolare, questa volta, è stato l’inizio dei lavori di costruzione di una base permanente della Marina militare britannica (la Royal Navy) a Mina Salman, un’area portuaria di 80 ettari sita nel Nord-Est del paese.
La decisione di istallare questo centro a Mina Salman – che sino alla formale indipendenza del Bahrain dalla Gran Bretagna (1971) aveva ospitato la base permanente della Royal Navy per oltre 30 anni – è stata presa il 6 dicembre 2014 da un accordo bilaterale anglo-bahreinita stipulato dai ministri degli Esteri Philip Hammond e Khalid bin Ahmed al-Khalifa.
L’inaugurazione della base è fissata a gennaio 2016.
Si prolunga ulteriormente, dunque, quello stato di caos e tensione in cui il paese si trova dal febbraio 2011 – da quando, cioè, anche la popolazione bahreinita aveva aderito alle rivolte arabe.
Una protesta singolare, quella del Bahrain, un unicum per una piazza – quella del Golfo Persico – in cui dibattito e dissenso politico trovano da sempre poco spazio dinnanzi ai muri eretti dalle dinastie reali reggenti.
Un’anomalia ignorata a piè pari dai maggiori media internazionali (al-Jazeera e al-Arabiya in primis) e di cui le vicine monarchie del Golfo per un momento hanno temuto il contagio – alla fine non avvenuto, eccezion fatta per qualche scintilla in Kuwait ed Oman.
Una sommossa con cui oltre 250 mila manifestanti (su un milione e mezzo di abitanti) hanno reagito alle massicce violazioni delle libertà fondamentali e alle discriminazioni storicamente perpetrate dagli al-Khalifa – l’onnipotente casa reale bahreinita, al potere dal 1783 – verso la maggioranza sciita, che rappresenta oltre il 60% della popolazione locale.
Una sollevazione, infine, che ha mostrato il lato brutale del regime di Re Hamad e del suo entourage, autori di una repressione che ha causato un centinaio di morti, migliaia di feriti ed un incalcolabile numero di arresti, torture e sparizioni ai danni degli attivisti.
Alle proteste che lo scorso dicembre avevano accompagnato la firma dell’accordo sono seguite, così, le recenti manifestazioni.
Le opposizioni parlamentari hanno denunciato l’incostituzionalità della firma dell’accordo: nel suo articolo 37, la Costituzione bahreinita prevede infatti che i trattati internazionali riguardanti la gestione del territorio debbano essere approvati dal Parlamento, non essendo sufficiente il regio decreto come invece è avvenuto.
Il partito sciita Jamiyat al-Wefaq al-Watani al-Islamiyah – che con i suoi 18 seggi sui 40 del Parlamento costituisce il partito maggioritario del Bahrain – ha sottolineato le implicazioni politiche che potrebbero seguire allo stabilimento della base.
Oltre a perdere un’ulteriore fetta della propria sovranità territoriale (il paese già ospita un avamposto della Marina militare statunitense), a parere di al-Wefaq il governo di Manama rischia infatti di inasprire le proprie relazioni con l’Iran.
È infatti probabile che il motivo principale che abbia spinto la Gran Bretagna a trovare un appoggio nel Golfo sia quello di monitorare Teheran più da vicino.
In un contesto come quello del Bahrain, teatro di crescenti violazioni ed ingiustizie, la notizia dell’accordo è stata percepita da dissidenti ed attivisti per i diritti umani come una legittimazione da parte britannica della politica repressiva degli al-Khalifa.
Di tale linea di pensiero è Nabeel Rajab, noto leader delle Opposizioni e presidente del Bahrain Centre for Human Rights, che in un’intervista al The Independent ha indicato la Gran Bretagna come il paese occidentale “ad aver maggiormente supportato la dittatura in Bahrain e adessersi opposto alla battaglia degli attivisti per la democrazia ed i diritti umani [..]”.
Secondo Rajab, l’istallazione della base militare inglese – i cui costi di costruzione e manteniento sono interamente a carico del Bahrain – non rappresenta che “il pagamento di una ricompensa che il paese sta offrendo alla Gran Bretagna per il silenzio mantenuto sulle violazioni ed il suo continuo supporto a tale regime tirannico e corrotto. Questo è il motivo per cui la popolazione bahreinita è rimasta sconvolta per la notizia”.