La storia di un’attivista politica nel regno del Bahrain in carcere dall’ottobre scorso e che ora rischia la salute perché ha iniziato uno sciopero della fame. Zainab al Khawaya è la figlia di Abdullahdi altro oppositore di Re Hamad, ed è in carcere dal 2011
Nel mondo arabo che da due anni ormai si è sollevato contro i regimi più o meno dittatoriali dei propri paesi il nome di Zainab al Khawaya è molto conosciuto. Prima di tutto perché è la titotale di un blog dal titolo che è tutto un programma “Angry Arabia” cioè “Arabia arrabbiata”. Poi perché la sua lotta non violenta contro il Re Hamad del Bahrein l’ha già portata in carcere due volte, la prima nel 2011, la seconda nell’ottobre scorso mentre nel corso di una manifestazione gridava “Dio è più forte di qualsiasi tiranno”.
Raduno illegale, incitamento all’odio contro il regime, oltraggio a pubblico ufficiale: le accuse per il primo arresto che dopo i primi tre mesi di carcere le sono valsi la seconda chiusura dietro le sbarre del penitenziario di Madinat Isa. Ha raggiunto il padre, Abdullahdi che dal 2011 è ospite delle reali galere per essere anche lui un oppositore del re.
Dal 17 marzo Zainab ha iniziato uno sciopero della fame e per alcuni giorni, insieme al padre, ha rifiutato anche i liquidi. E la sua situazione sanitaria è precipitata tanto da far alzare il livello di guardia di diverse organizzazioni non governative sulla salute di questa attivista di 29 anni.
“Come prigioniera politica in Bahrain, ho cercato un modo per combattere dall’interno della fortezza del nemico, come ha detto una volta Nelson Mandela. Quando sono stata messa in una cella con altre quattordici persone, tra cui due condannati per omicidio, e mi hanno dato i vestiti arancioni della prigione, sapevo che non avrei potuto indossarli senza mandare giù un po’ della mia dignità. Il gesto di non indossare la divisa dei condannati, dal momento che non ho commesso nessun crimine, è diventato il mio piccolo atto di disobbedienza civile. Mi hanno punito non lasciandomi vedere la mia famiglia e la mia bambina di tre anni. Ecco perché sono in sciopero della fame”. Questa è una parte del testo di una lettera che Zainab ha scritto dal carcere a molti giornali, e che il New York Times ha pubblicato.
C’è poi la questione della divisa del carcere che al Khawaya rivendica come suo atto di disobbedienza civile, ma che in certi penitenziari è un atto di forza del regolamento per fare in modo che i criminali più feroci e pericolosi vengano immediatamente riconosciuti da tutta la popolazione carceraria attraverso proprio il fatto che non indossano la divisa: un modo per umiliare la persona ancora di più.