Lo statement congiunto spiega che «i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo hanno fatto il possibile di fronte al Qatar per mantenere una politica unificata, che garantisse la non interferenza in maniera diretta o indiretta negli affari interni di ognuno dei paesi membri […]» ma «sfortunatamente gli sforzi non hanno dato risultati, per cui è stato deciso di fare quello che sembrava opportuno per proteggere la sicurezza e la stabilità, ritirando gli ambasciatori dal Qatar». Alla base della decisione delle tre monarchie vi sarebbe la mancata ratifica da parte del Qatar degli accordi di non interferenza negli affari interni dei membri del consesso regionale stabiliti nel corso del 34° summit del GCC in Kuwait, lo scorso 11 dicembre 2013. In una dichiarazione ufficiale il governo di Doha ha espresso «sorpresa e disappunto per la scelta dei vicini», sostenendo che la loro decisione sarebbe stata dettata da logiche «che nulla hanno a che vedere con la sicurezza e la stabilità regionali, bensì rispondono alla divergenza di vedute su questioni estranee al GCC». Secondo le ricostruzioni della stampa e dei media arabi, l’Arabia Saudita avrebbe accusato il Qatar di finanziare le milizie islamiste negli altri paesi della regione. Le tensioni nel GCC covavano da tempo e già nel dicembre 2013, nel corso dello stesso vertice dell’organizzazione, Riyadh e Abu Dhabi avevano minacciato di accusare pubblicamente il Qatar per il presunto finanziamento dei gruppi terroristici islamisti in Siria e in altri paesi della regione. Tuttavia la volontà di non creare ulteriori spaccature all’interno del fronte regionale – già ampiamente diviso in seguito all’accordo del novembre 2013 tra USA e Iran sul nucleare iraniano – e la mediazione kuwaitiana e omanita avevano cautamente consigliato alle parti la formula di una severa ammonizione contro Doha.
A pesare sulle divisioni in seno al GCC e al conseguente isolamento diplomatico qatarino, più che lo stallo politico-diplomatico in Siria, ha influito soprattutto la partita egiziana: in primis l’appoggio di Doha ai Fratelli musulmani e ad Hamas, passando per le divergenti posizioni in merito al golpe del 3 luglio che ha portato alla caduta del governo di Mohammed Mursi, fino alla restituzione del governo al-Beblawi dei 2 miliardi di dollari in depositi bancari al Qatar in aperto contrasto con la restaurazione al potere dei militari guidati da Feldmaresciallo al-Sisi. Proprio queste vicende sono state fattori e pretesti per la più importante crisi diplomatica tra le monarchie del Golfo. I processi a Mursi e ai giornalisti di al-Jazeera, i sermoni di Yusuf al-Qaradawi (teologo egiziano naturalizzato qatarino e noto per le sue dichiarate e appassionate simpatie a favore dei Fratelli musulmani), nonché le tensioni interne agli EAU e al Kuwait tra governo e gruppi locali vicini all’Ikhwan – accusati a vario titolo di «ordire contro la stabilità e l’ordine» nei rispettivi emirati – completano il quadro degli attuali squilibri del Golfo. Il Qatar, protettore e sponsor dei Fratelli Musulmani nella regione, contro gli orientamenti conservatori delle monarchie GCC capitanate dall’Arabia Saudita.
Solo alla luce di tali considerazioni può risultare più chiaro quanto avvenuto pochi giorni fa e quanto sta ancora avvenendo in Egitto: Il Tribunale per gli Affari straordinari del Cairo ha dichiarato fuorilegge Hamas – alla pari dei Fratelli musulmani, messi al bando in dicembre – e il governo ha ritirato in segno di protesta contro Doha il proprio Ambasciatore dal paese. A poche ore dalle decisioni del Cairo è giunta immediata la presa di posizione di Arabia Saudita ed EAU che, a loro volta, hanno dichiarato illegali e hanno bandito come organizzazioni terroristiche le stesse Fratellanza musulmana e Hamas, nonché Hezbollah, Jabhat al-Nusra e ISIS.
Che esistano obiettivi divergenti tra le monarchie del Golfo è cosa risaputa, a partire dal progetto, accolto tiepidamente in particolare da EAU e Oman, di creare un’unione monetaria e una banca regionale unica, passando per l’istituzione di un sistema di sicurezza unificato sotto l’egemonia saudita fino ad arrivare alle singole aspirazioni di politica estera dei singoli attori regionali coinvolti. È proprio in questo contesto che si è accentuata la rivalità tra Qatar e Arabia Saudita. Da circa un decennio Doha e Riyadh si fronteggiano su tutti i principali dossier di politica internazionale, in un gioco a due nel quale il Qatar ha cercato di guadagnare spazi erodendo allo stesso tempo la leadership saudita. A contrapporsi sono due modelli di potenza e di diplomazia economica e politica: il soft power qatarino vs lo smart power saudita, una politica estera ampiamente pubblicizzata vs una diplomazia politico-energetica low profile.
Quali sono dunque le opzioni che rimangono al Qatar per uscire dall’impasse? Attualmente se ne possono individuare soltanto due ed entrambe sono molto rischiose e suscettibili di provocare effetti irrimediabili sia alla stessa politica estera di Doha sia agli equilibri vigenti nell’area. Da un lato Doha potrebbe soddisfare i desiderata di Riyadh ridimensionando il proprio ruolo di pivot e di mediatore rilevante nelle aree di crisi, dall’altro potrebbe consolidare la propria posizione mantenendo contatti di routine con le monarchie ex-alleate vagliando, insomma, la possibilità di ripetere una strategia simile a quella dell’Oman. In questo modo potrebbe ambire a muovere una politica estera ambivalente rinsaldando contemporaneamente i rapporti politico-economici con l’Iran. In un caso, pertanto, il Qatar potrebbe soccombere all’influenza saudita abdicando definitivamente al proprio ruolo di leadership regionale, nell’altro avrebbe la possibilità di sfidare l’autorità degli al-Saud ridefinendo nuovi equilibri nell’area e nel mondo arabo-islamico. Soprattutto in questo secondo scenario a risentirne non sarebbero soltanto i rapporti interstatali tra membri del GCC ma anche i rapporti con gli Stati Uniti che nel Golfo conservano importanti interessi strategici. Oltre che in Kuwait e in Bahrain, Washington mantiene infatti in Qatar la base aerea di al-Udeid, che ospita 10.000 militari in pianta stabile e che ha giocato un ruolo chiave nelle campagne irachene del 1991 e del 2003. Come afferma, inoltre, David Kirkpatrick sulle colonne del New York Times «le tensioni interne al GCC potrebbero di riflesso rendere più difficile le negoziazioni tra USA e Iran sul suo programma nucleare» e allo stesso tempo incidere sugli stessi programmi di sicurezza USA nel Golfo.
Una crisi diplomatica, dunque, che potrebbe provocare squilibri molteplici e in grado di stravolgere i rapporti intra- e trans-regionali. Oggi più che nel recente passato il Qatar potrebbe assumere il ruolo di “mina vagante” della politica estera mediorientale ed internazionale.
Giuseppe Dentice, ISPI Research Assistant