«Imprese penalizzate,



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«Paesi a fiscalità privilegiata puri, con eccezioni»: Singapore, Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Principato di Monaco. «Paesi a fiscalità non privilegiata»: Angola, Antigua, Mauritius, Panama, Portorico e Svizzera. A ben vedere – e lo conferma anche l’ultimo decreto di aggiornamento del ministero del Tesoro datato 12 febbraio 2014 – Singapore è ancora nella black list dei Paesi considerati veri e propri paradisi fiscali, nonostante l’Ocse (di cui Pier Carlo Padoan è stato fino a poco tempo fa capo economista) non lo consideri più tale e al netto di una serie di accordi bilaterali tra i due governi in un’ottica di maggiore scambio di informazioni di natura tributaria. «Tutto ciò penalizza le nostre imprese che vogliano investire nel Sud Est asiatico – dice Federico Donato, presidente della Camera di commercio italiana a Singapore e amministratore delegato di FFA Asia, società di consulenza finanziaria attiva nella gestione di grandi patrimoni -. Lunghi tempi di attesa per gli “interpelli” (l’istanza che il contribuente rivolge all’Agenzia delle entrate chiamata a dare una valutazione preventiva su un’operazione economica in fieri, ndr. ), minore deducibilità dei costi sostenuti nel caso dell’apertura di una filiale commerciale, tassazione piena dei dividendi per chi detiene partecipazioni in società con diritto singaporegno».

Una via crucis tale da ridurre al minimo l’interscambio commerciale tra i due Paesi, nonostante la città-Stato di Singapore sia la piazza finanziaria di riferimento per circa 600 milioni di persone (dalla Thailandia al Vietnam, dalle Filippine fino alla Malaysia) e al netto dei suoi tassi di crescita del 5% all’anno trainati (anche) dal manifatturiero, dai trasporti e dalla logistica che la indicano come la piattaforma più adeguata per uno sbarco più convincente del made in Italy. Qualche best practice in realtà ci sarebbe, ma va categorizzata alla voce «investimenti in solitario»: Mzb group (la capogruppo della Segafredo- Zanetti, leader nella lavorazione del caffè) che ha appena rilevato il 100% della locale Boncafe e Menarini (attiva nel farmaceutico) che ha fatto shopping comprando Invida per 220 milioni di dollari in carico al fondo sovrano Temasek. Poco, anche in confronto agli investimenti singaporegni nel nostro Paese che spaziano dalle strutture ricettive (l’hotel Boscolo Esedra a Roma di proprietà del Millennium Hotels group) agli aeroporti (una piccola partecipazione di Changi Airports in Gemina, controllante della società di gestione degli Aeroporti di Roma incorporata in Atlantia), fino al controllo dei terminal portuali Genova Voltri e Venezia in carico al colosso PSA. Eppure – rileva Donato – la «corporate tax» a Singapore è fissata al 17%, quasi cinque punti in più dell’Irlanda, non proprio una fiscalità di vantaggio.

Il corollario – sussurrato a mezza bocca – è che l’assenza del padiglione Singapore nell’Expo milanese sia da attribuire a una malcelata volontà delle istituzioni locali di reagire in maniera stizzita a una misura che ritengono ingiustificata.

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