“I giovani sono la forza del cambiamento. Hanno quello spirito che fa sembrare possibile ogni cosa”. Venticinque anni, un’infanzia da esiliata in Danimarca, 80 mila seguaci su Twitter, Maryam al-Khawaja è l’ambasciatrice della lotta per la difesa dei diritti umani nel suo Paese, il Bahrain, arcipelago arabo teatro di proteste e scontri sempre più violenti tra governo e opposizione. In questi giorni è in Italia per partecipare, da relatrice più giovane, alla conferenza mondiale Science for Peace della fondazione Umberto Veronesi a Milano, che inaugurerà stamattina a fianco del premio Nobel iraniano Shirin Ebadi. Energica e volenterosa, ieri si è rivolta ai suoi coetanei europei, lanciando un monito inatteso. “I giovani occidentali devono tenere alta la guardia. Perché in nome delle esigenze di sicurezza, rischiano di vedere la propria libertà erodersi lentamente”.
Maryam è la figlia di Abdullahadi Al-Khawaja, prigioniero politico perseguitato in patria ma riconosciuto a livello internazionale. Ad ottobre, all’annuale conferenza sui diritti umani dell’Unesco negli Stati Uniti, è stato una figura celebrata ma lei ha scelto di rifutare l’invito, in protesta contro un altro premio consegnato a politici israeliani. Ricorda l’esilio in Danimarca (“La mia famiglia non era benvenuta”) e i problemi d’integrazione (“Soprattutto da bambina, integrarsi era difficile”). Parla delle guerre silenziose del mondo, del futuro, e dei compiti che spettano alle nuove generazioni. “C’è troppo disinteresse verso la politica, mentre esere attivisti oggi sarebbe fondamentale: dobbiamo controllare che i governi agiscano nell’interesse della collettività . Cambiare le società in cui viviamo è possibile”. E il maggior pericolo, secondo lei, è il controllo.Â
“Telecamere sparse in ogni angolo delle città , intrusioni nella privacy, accesso ai computer e alle pagine dei social network dei cittadini: il pericolo maggiore per l’Occidente oggi è come vengono reperite le informazioni. E non ha senso dire che chi è innocente non ha nulla da temere, perché l’allarme riguarda il come queste informazioni vengano trattate. O magari addirittura manipolate per giudicare colpevole un innocente. Bisogna cercare di evitare gli effetti nefasti delle politiche di sicurezza portate avanti nelle democrazie più sviluppate in nome dell’antiterrorismo. E per questo dico: ‘Attenti!’, perché gran parte delle persone non si cura abbastanza del pericolo di un Big Brother orwelliano”.
Timori eccessivi oppure no, i temi trattati, tra diritti, libertà , scienza e tecnologia saranno quelli al centro della conferenza milanese. Ai giovani, insiste Maryam, invece, “pongo il quesito di come riuscire a influire sulle politiche dei propri governi, come evitare che i politici possano agire contro il volere dell’opinione pubblica, come accaduto per esempio in Gran Bretagna con la guerra in Iraq“. L’obiettivo principale per cui “vale la pena battersi” oggi, riguarda l’eliminazione di ogni discriminazione, politica e civile. “Finché nel mondo ci saranno persone che soffrono e che non sono libere noi abbiamo la responsabilità di aiutarli. Non solo come attivisti, ma soprattutto come esseri umani“. Infine, un pensiero al Bahrain, piccolo Regno di violenti scontri politici e religiosi da due anni a questa parte sempre più violente. “Se penso al prezzo che si sta pagando solo per ottenere diritti che altrove sono elementari mi sento male. Ma il fatto che i miei connazionali rifiutino di arrendersi è già una vittoria”.
(*) Science for Peace è un progetto ideato e organizzato dalla Fondazione Umberto Veronesi, sostenuto da 21 premi Nobel, in corso all’Università Bocconi di Milano. Oggi e domani, 16 e 17 novembre, di scena la quarta edizione di questa conferenza internazionale. Nell’aula magna dell’ateneo relatori da tutto il mondo (professori, ricercatori, giornalisti, politici, direttori di carceri, figure istituzionali e operatori del Terzo settore) sono riuniti per parlare di pena di morte ed ergastolo, accesso alle risorse per tutti e coesione sociale – vedi link