Learning from Bahrain

testo di Gonzalo Herrero Delicado

Le regole del gioco sono cambiate. Se qualche secolo fa, in America del Sud, Africa o nel Sud-est asiatico, gli europei conquistavano il mondo facendo proseliti e convertendo i “fiduciosi indigeni”, oggi, le strategie di colonizzazione sono mutate e i ruoli fra colonizzati e colonizzatori si sono fatti più incerti. Anche gli obiettivi sono diversi, per quanto, in realtà, implichino il medesimo sfondo di sfruttamento economico. Gli europei mirano tuttora a conquistare, sebbene oggi con dogmi culturali e non più religiosi, tutti quei territori cosiddetti senza radici che vi si prestino. Le conseguenze della globalizzazione e del capitalismo, sommate alla grave congiuntura economica che sta attraversando l’Europa, hanno dato vita a una massiccia fuga di cervelli dal vecchio continente verso aree geografiche con maggiori disponibilità finanziarie, alla ricerca di spazi di opportunità e sviluppo che oggigiorno la stagnante cultura europea non è in grado di offrire. Una delle aree in cui gli effetti della globalizzazione culturale europea sono un fatto indiscutibile, è quella del Golfo Persico. I paesi di questa regione si sono dimostrati una fertile nicchia di colonizzazione culturale grazie a PIL esponenzialmente superiori a quelli di qualsiasi nazione europea – derivanti in larga misura dagli indubbi benefici dell’estrazione di combustibili fossili dal sottosuolo – e alla conseguente ricerca di mano d’opera specializzata, in particolare quella legata al settore edilizio.

In questo quadro, l’eccezione che conferma la regola è rappresentata dal Bahrein, il paese più piccolo del Golfo Persico. Mentre alcuni suoi vicini, come il Qatar o gli Emirati Arabi Uniti, si sforzano in ogni modo di assorbire nei propri contesti gli elementi urbani già di per sé discutibili della cultura occidentale, il Bahrein si mostra reticente nel perdere la propria identità culturale. Le attuali iniziative realizzate dal governo di questo paese testimoniano tanto di una coraggiosa scommessa in nome della difesa delle tradizioni, quanto dell’impegno nell’instaurare un dialogo con le prepotenti tendenze provenienti dal vecchio continente.
Le ragioni sono ovvie: a differenza dei paesi limitrofi, molti dei quali hanno visto nascere e crescere le loro città negli ultimi cinquant’anni, il Bahrein ha una radicata cultura che risale a più di cinquemila anni fa. Il “paese fra due mari” vanta da sempre una posizione strategica. Un tempo insediamento portoghese, è diventato alcuni secoli più tardi e fino agli anni settanta un protettorato inglese, conservando di questo periodo un importante lascito architettonico, un’eredità culturale che si è andata via via integrando con l’autoctona, e un affascinante, consolidato ed eterogeneo paesaggio urbano e sociale.

Nelle due capitali del Bahrein, al Muharraq e Manama, l’antica e l’attuale, i mercati tradizionali si fondono con i nuovi centri commerciali di alta gamma, le antiche case nobiliari – di recente ricostruite ad opera del Shaikh Ebrahim bin Mohammed Al Khalifa Center for Culture and Research e convertite in piccoli musei e centri di ricerca etnografica e culturale, – con i grandi palazzi di uffici dalle linee decise e vicine alla comune iconografia araba. E questo è, a ben vedere, in linea con un’antica tradizione di valorizzazione dello spazio pubblico: le vie centrali di al Muharraq sono un esempio di quei luoghi pieni di vita e movimento che hanno solide radici nell’urbanistica popolare araba.


In tema di cultura, il Bahrein sta facendo incredibili passi avanti e, favorito dalla sua ingente liquidità, investe in grandi eventi culturali che, ben oltre il caso della Formula 1, puntano a lasciare il segno sulla mappa culturale internazionale. Un esempio di tutto ciò lo si è avuto nel 2010, quando il Bahrein ha sorpreso l’intera comunità architettonica internazionale con una scommessa coraggiosa, la partecipazione alla Biennale di Architettura di Venezia. Grazie all’esposizione “Reclaim”, proposta dalla curatrice Noura Al-Sayeh, talentuoso architetto libanese alla guida degli Architectural Affairs del Ministero della Cultura del Bahrein, il piccolo paese del Golfo è riuscito a portarsi a casa il Leone d’Oro per il miglior padiglione nazionale. E non è stato un caso: “Reclaim” manifestava chiaramente il deciso e sempre più diffuso impegno di questo paese nel portare in primo piano la propria cultura e identità attraverso moderne strategie di postproduzione culturale; una strategia in ambito culturale che marca una netta distanza da altri paesi del Golfo.

A Manama si trovano alcune fra le principali istituzioni culturali del paese. Queste, pur a fronte di possibilità economiche in eccesso, preferiscono uno sviluppo moderato, in accordo con le necessità reali di una popolazione che, sull’intero territorio nazionale, supera di poco il 1250000 abitanti. Mentre altri paesi del Golfo optano per la magnificenza della grande scala dei loro edifici pubblici, il Bahrein si concentra sulla pianificazione di operazioni di diverso tipo, che generino all’estero un’immagine di reale modernità, e risolvano necessità e inquietudini culturali della popolazione nazionale. Fra i più recenti grandi progetti di infrastruttura pubblica realizzati a Manama, vi è il National Theatre of Bahrein, disegnato dai francesi di AS Architecture-Studio. Dall’esterno l’edificio si presenta come un volume poliedrico curvo dall’evidente intento metaforico; è infatti molto facile assimilarlo a una perla, allusione a uno dei mercati che storicamente hanno segnato l’economia del Bahrein. Questa “perla” è circondata da una tettoia e delimitata da un perimetro interamente costituito da vetrate: un problema sotto il profilo dell’isolamento termico, in una regione dove le temperature sorpassano in estate i quaranta gradi, la cui unica soluzione possibile è stata ricreare all’interno, grazie a potenti condizionatori, un effetto “inverno”.

Carente sotto il profilo dell’inserimento nel contesto, il progetto ha invece nel suo interno il proprio punto di forza. La principale sala da concerto si presenta come un’interpretazione sorprendente della storica tradizione navale del paese. Gli interni sono interamente realizzati in legno e, nella quasi totalità, a mano, al fine di creare una soluzione organica tremendamente contemporanea, in un dialogo aperto con questa storica tradizione di cantieristica navale. Questi elementi in legno, nati ognuno dalle mani di esperti calafati originari della regione, sembrano voler suggerire un’idea di aerodinamicità e dare l’impressione di comporre lo scafo di una barca.
In controluce, si percepisce quanto una colonizzazione culturale che sappia avvalersi di tecniche costruttive tradizionali, possa rappresentare un beneficio per più parti, in questo caso gli architetti stranieri e il governo locale. L’esperienza tipicamente europea apportata dai francesi di AS Architecture-Studio, fra l’altro autori, insieme a Jean Nouvel, dei progetti per l’Istituto del Mondo Arabo di Parigi, riesce nell’impresa di mettere a frutto le tradizioni culturali del Bahrein e, al tempo stesso, reinterpretarle ed esaltarle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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