di Nadeesha Uyangoda
Il 30 agosto l’attivista per i diritti umani Maryam al-Khawaja è stata arrestata al suo arrivo nell’aeroporto di Manama, in Bahrein.
Maryam aveva ottenuto asilo politico in Danimarca nel 1989, quando insieme alla famiglia era fuggita dal Bahrein a causa delle prese di posizione antigovernative del padre, l’attivista Abdulhadi al-Khawaja. Gli al-Khawaja avevano ottenuto il permesso di rientrare in madrepatria nel 2001, dopo dodici anni di esilio. Dopo il suo ritorno, Maryam al-Khawaja fonda, insieme al padre, il Bahrain Center for Human Rights e persegue attivamente la causa della violazione dei diritti umani, denunciando in particolar modo l’uso di tortura.
L’attivista era tornata nel suo paese per incontrare il padre che aveva iniziato in carcere lo sciopero della fame lo scorso 26 agosto e che era stato condannato all’ergastolo con le accuse di aver fondato e organizzato un gruppo terroristico e poi tentato un colpo di stato con l’appoggio di tale organizzazione. Tuttavia, appena atterrata nella capitale, è stata a sua volta arrestata con le accuse di aver aggredito un poliziotto, insultato il re e per aver condotto una campagna in cui denunciava l’uso di torture in carcere.
Nabeel Rajab, un altro attivista, rilasciato quest’anno dopo due anni di carcere per aver sostenuto e partecipato alle proteste del 2011, ha commentato l’arresto della collega dicendo che l’accusa di aggressione a un ufficiale delle forze dell’ordine è comune quando la polizia non ha altri pretesti per prendere in custodia un cittadino: «volevano portarla via con la forza e lei si è opposta, tutto qui».
Maryam al-Khawaja ha avuto un ruolo importante durante le proteste che hanno travolto il Bahrein, come molti altri stati del Medio Oriente, nel 2011.
Le proteste erano scoppiate perché la popolazione chiedeva allo stato una svolta democratica, attraverso la redazione di una nuova costituzione che garantisse uguali diritti a tutti i cittadini: infatti nonostante la maggioranza della popolazione sia costituita da sciiti, la famiglia reale – e quindi lo stato – sono espressione della minoranza sunnita.
Il governo di Manama aveva risposto alle proteste con una durissima repressione, arresti arbitrari e persecuzioni; e se nei casi degli altri stati coinvolti nell’ondata della primavera araba, l’Occidente aveva preso una posizione chiara schierandosi al fianco delle forze rivoluzionarie, la questione in Bahrein si era già allora delineata più complessa, come afferma la stessa Maryam, a causa degli interessi economici e politici di USA e UK. I primi, infatti, sono uno dei maggiori fornitori di armi e tecnologie militari del Bahrein, dove hanno anche una flotta della marina militare per controllare i traffici petroliferi e per arginare il più possibile l’influenza dell’Iran (a maggioranza sciita) e sono inoltre in ottimi rapporti economici e politici con l’Arabia Saudita (a maggioranza sunnita) che considera il Bahrein una sua zona di influenza.
Attualmente Maryam è incarcerata, senza aver avuto la possibilità di consultarsi con il proprio legale, nella prigione femminile e vi resterà per sette giorni, in attesa che proseguano le indagini sul suo conto e vengano confermate le accuse.
Maryam transferred to Isa Town women’s prison. Investigation extended for 7 days. Not allowed to see lawyer before interrogation.
— Maryam Alkhawaja (@MARYAMALKHAWAJA) 30 Agosto 2014
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