Nuoto Il Mondiale A 10 Anni Di Alzain No Alle Atlete Bambine

Di Monia Bracciali

 

É la nuotatrice più veloce del Bahrain, Alzain Tareq e, in quanto tale, partecipa ai Mondiali di nuoto che si stanno svolgendo in questi giorni in Kazan. Al di là dei risultati in acqua, l’atleta ha già stabilito un record: quello della nuotatrice più giovane a partecipare ad una competizione mondiale. Alzain, infatti, è una bambina di dieci anni. Come sia possibile? A differenza del Comitato Olimpico Internazionale, la Federazione Internazionale di Nuoto non fissa alcun limite d’età.

 

L’ufficio stampa kazako della competizione ha intervistato la bambina, figlia di un ex nuotatore e di un’insegnante, facendo passare la partecipazione di Alzain come un’inevitabile formalità visto i tempi nazionali conquistati dalla bambina delle sue specialità. Inoltre ha posto l’accento su come  sia serena, molto matura per la sua età – cosa che dimostra nelle risposte già da adulta alle domande – e sulla sua capacità di difendersi dalle pressioni come un’atleta matura.

 

Per quanto possa essere affascinante il talento precoce, un obiettivo costante di caccia di ogni sport, la partecipazione di una bambina di dieci anni ad un Mondiale, svuota il quotidiano infantile di elementi che alla lunga non possono non pesare sul vissuto di tutte le Alzain Tareq nel mondo dello sport. Ecco perchè sussitono almeno dieci motivi per cui la competizione agonistica deve stabilire un limite minimo d’età e comune buonsenso.

 

1 – Un Mondiale non può essere un gioco, neppure se provano a farlo passare come tale nei confronti una piccola atleta. Troppa la visibilità e le pressioni anche se quest’ultime non riguardano una medaglia, perchè ci sono da mettere in conto pure quelle personali della bambina, nonostante possa essere cosciente al massimo di non poter ancora competere con nuotatrici mature. 

 

2 – Agonismo potente e prepotente, che si snoda in due soli epiloghi: la vittoria vs la sconfitta. Non è detto che la prima riguardi una medaglia, può voler significare anche un tempo personale da battere. E se non agganci l’obiettivo è difficile restare indifferenti. Ecco perchè va ribadito che una competizione internazionale non può essere travestita da gioco. 

 

3 – L’allenamento al massacro. Nell’intervista la bambina spiega che si allena cinque volte a settimana, mattina e sera. 

 

4 – La partecipazione ad un torneo mondiale crea uno scarto di esperienza con gli altri bambini con i quali l’atleta si relaziona. Mentre i coetanei occupano il tempo in attività “normali”, quelle dell’atleta precoce sono riempite da un impegno che rasenta il professionismo e per gran parte svuotate  da quelle ludiche. 

 

5 – Un confronto non reale di potenzialità, visto che la bambina si trova a concorrere con atleti almeno adolescenti e quindi con un fisico più sviluppato. Non è semplice, mentre si è in gara, capire a caldo la differenza.

 

6 – Assenza di un metro di giudizio oggettivo quindi, per cui la partecipazione dell’atleta rischia di passare per fenomeno, facile pasto dei media. 

 

7 – Aumento del rischio di abbandono da parte dello staff che allena la bambina. Spesso non si ha molta pazienza col talento precoce: o emerge subito come da grandi aspettative riposte oppure, se queste vengono deluse,  potrebbe venir meno la voglia di investire sul suo sviluppo o sul testare il talento stesso. 

 

8 – Aumento del rischio di abbandono della disciplina da parte della stessa atleta. Questo per scemare delle motivazioni, malcontento per risultati non all’altezza delle aspettative personali e riposte da terzi, frustrazione, crescita di definizione della volontà reale di cimentarsi in altro. In conclusione: una potenzialità sbocciata ma che rischia di non aprire i petali come un fiore.

 

9 – La difficoltà di diversificare l’allenamento quando ha come fine la partecipazione ad un torneo mondiale. Lapalissiano il fatto che l’insegnamento della disciplina ad una bambina è molto diverso da quello di un adolescente o di un adulto. Tuttavia quando l’obiettivo è lo stesso, non è semplice adottare metodi diversi.

 

10 – Ripercussioni sullo sviluppo. “É dimostrato che quando le atlete inziano la preparazione prima del menarca (prima mestruazione, ndr), possono avere un ritardo nelle mestruazioni fino a quasi un anno. Bisogna però distinguere tra modalità di svolgimento dell’attività fisica. Quella lieve o moderata, meno di quindici ore a settimana, non sembrerebbe determinare alterazioni dell’età della comparsa del menarca (…) L’attività sportiva intensa, invece, comporterebbe per ogni anno della stessa un ritardo di cinque mesi della comparsa del menarca e un’aumentata frequenza di irregolarità mestruali” . (Dott.ssa Mirella Parachini, ginecologa dell’ospedale San Filippo Neri di Roma e vice presidene della Federazione internazionale dei professionisti di aborto e concezione – Intervista per MWS nel dicembre del 2013). 

 

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