Martina Azzalea da Manama
Nonostante i documentari, gli articoli e le numerose letture relative al Bahrain mi è molto difficile, ancora adesso, avere un’idea chiara riguardo agli eventi del 2011, alla presente situazione e, ancora di più al passato. Per questo motivo ho deciso di scegliere Manama come destinazione per uno stage estivo.
Dall’accoglienza poco calorosa riservatami in aeroporto capii immediatamente che, a differenza del Kuwait, in Bahrain il clima è molto teso e di sospetto; il mio arabo mi ha messa in seria difficoltà. Dopo tre ore di interrogatorio riuscii ad ottenere il visto: da quel momento fu chiaro che la mia “ricerca della verità” non sarebbe stata facile. Dei tre mesi trascorsi a Manama ho dedicato solo l’ultimo alle interviste, sia per via del Ramadan ma soprattutto per il timore di essere scoperta e di essere rimpatriata. Durante le escursioni nel Suq e in occasione delle festività celebrate soprattutto dagli sciiti (come l’Azza) doveva stare cauta: se la polizia mi avesse vista scattare delle foto alle scritte sui muri avrei rischiato l’arresto. Poco prima del 14 agosto (data significativa per il Bahrain) mi feci coraggio e contattai alcune ONG presenti nel Paese: l’unica risposta che ottenni fu quella di Mohammed Al-Maskati, Presidente della Bahrain Youth Society for Human Rights. Maskati si rivelò fin da subito disponibile a incontrarmi, anche in pubblico. Optai dunque per un bar poco distante dalla mia abitazione. Come sempre diedi carta bianca al mio interlocultore…
Come ben sai la questione risiede, in primis, negli avvenimenti storici del Bahrain. Durante l’occupazione britannica non vi erano divisioni di tipo religioso, o almeno, non sfociarono in violenza aperta. A partire dagli anni ’50 ogni comunità presente sull’isola cominciò a desiderare un Paese libero dalla colonizzazione e dieci individui si fecero portavoce di questo sentimento comune. Da allora l’Inghilterra non fu più considerata la benvenuta. Il 14 agosto del 1971 (ecco spiegata l’importanza della data) in Bahrain venne dichiarato indipendente e gli Al Khalifha vennero riconosciuti come regnanti di tale Paese. Nonostante l’importanza di tale evento non si celebrò mai l’indipendenza dall’Inghilterra. La prima Costituzione venne introdotta nel 1973 e, sulla carta, di rivelò essere funzionale e all’avanguardia. Tuttavia, a soli due anni dalla sua pubblicazione, il Parlamento venne sciolto. Da allora la Costituzione venne sospesa e sostituita con la “National Security Law”: se negli anni ’70 ci fu una predominanza liberale in Parlamento, dopo la sua fine si susseguì un periodo dominato dalla corrente islamista (anni ’80) e di nuovo da un mix di orientamenti politici. Nel 2001 venne ribadita la sospensione della Costituzione e l’anno successivo l’emirato divenne regno a tutti gli effetti. Trentanni di scontri e di violazioni non servirono a ricostruire il Paese su nuove basi: le torture inflitte ai prigionieri politici e gli esili continuarono. La morte dell’emiro e la salita al trono del figlio coincidono con un periodo di tregua e di nuove speranze: l’introduzione della “National Chart” fecero ben sperare il popolo; l’affluenza alle urne per la votazione del documento fu stata superiore alle aspettative e si registrò anche la partecipazione dell’opposizione.
Fu solo un abbaglio: il 2002 passò alla storia come “anno zero”. La virata si spiegò anche con l’arrivo in Bahrain di un personaggio oscuro, Ramzi, il quale dettò legge e suggerì di chiudere le porte a ogni tipo tipo di opposizione. Nel 2004 una serie di personaggi legati alle principali ONG per la difesa dei diritti umani vennero arrestati; tra di loro era presente anche Abdul Hadi Al-Khawaja, il direttore esecutivo del Bahrain Centre for Human Rights (BCHR). Egli non nasconderà di essere stato pestato e torturato in carcere.
Il 2011 è l’anno delle rivoluzioni in tutto il Medio Oriente. Anche il Bahrain decide di prendere parte a questa nuova ondata di dissenso e sceglie il 14 febbraio, giorno in cui venne votata la “National Chart”. La manifestazione appartiene a tutti, senza distinzioni religiose; ciò che viene chiesto trascende ogni differenza etnica, religiosa e politica: una comunità indipendente eletta dal popolo. Purtroppo le proteste verranno, come è noto, represse nella violenza.
Parlami della tua esperienza da attivista
Nel 2012 sono stato in prigione. Dopo essermi recato a Ginevra, dove ero stato invitato per condividere la mia esperienza, sono stato minacciato di morte. Al mio rientro in patria dalla Svizzera si erano voluti assicurare della mia incolumità; tuttavia, in seguito al mio successo all’estero e alla pubblicazione dell’evento sui giornali, sono stato di nuovo arrestato.
Ciò che manca è un reale supporto da parte delle organizzazioni internazionali agli attivisti pacifisti come me. I media si concentrano solamente sulle manifestazioni violente e sui gruppi di estremisti.
Come intendi affrontare quest’ultimo problema? Per Juffair ( il quartiere dove risiedo e dove si trova la Flotta statunitense) si vedono solo cassonetti bruciare e quest’immagine non fa che macchiare la reputazione di chi invece, come te, si batte in maniera pacifica.
Ultimamente le persone stanno prendendo coscienza del fatto che reagire in maniera violenta alle provocazioni della polizia non ci aiuta. Grazie all’impegno di alcuni volontari stiamo organizzando dei “training” per coordinare le attività di protesta e per tutelare la privacy delle persone – insegnando loro come non lasciare tracce sui social networks .
Che tipo di manifestazione è prevista per il 14 agosto?
Non abbiamo ancora pianificato niente di preciso, l’effetto sorpresa servirà a confondere le forze dell’ordine. Ci saranno dei volontari che gestiranno lo svolgimento della giornata ponendo la massima attenzione a non dare spazio ai violenti. Impartiremo delle istruzioni molto generali e chiederemo di non rispondere agli attacchi della polizia.
Io non sono né con il governo né contro: credo solo in quello che spetta al popolo.
Ringrazio Mohammed; l’indomani sarei partita per l’Oman senza poter assistere, a malincuore, alla manifestazione del 14 agosoto. Al mio rientro in Bahrain niente sembra essere cambiato. Nei mesi successivi le manifestazioni di dissenso, gli arresti e le denunce non si sono fermati. Le scritte sui muri continuano a chiedere la caduta degli Al Khalifha e i poliziotti continuano a cancellarle, sperando di nascondere anche queste richieste di libertà.
Per una migliore conoscenza degli avvenimenti in Bahrain consiglio il documentario “Shouting in the Dark” di Al Jazeera English.
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