Video-intervista con l’ex deputato bahreinita Ali Al-Aswad, esponente della principale forza di opposizione Al Wefaq, che dal 2011 vive a Londra e di recente ha partecipato al convegno “La Causa”, organizzato dall’Associazione Amici del Libano, a Roma
di Sonia Grieco
Roma, 11 gennaio 2016, Nena News – Lontano dai riflettori, ma sempre in fibrillazione dal 2011, il Bahrein è teatro della protesta costante della maggioranza sciita contro la casa reale sunnita. E l’esecuzione capitale in Arabia Saudita del religioso sciita Nimr Baqr al-Nimr ha riacceso la protesta nel piccolo regno del Golfo, dove la cosiddetta primavera araba nel 2011 aveva portato in piazza migliaia di persone.
A piazza La Perla, nella capitale Manama, i manifestanti pacifici chiedevano una maggiore partecipazione politica della comunità sciita e la fine di quella marginalizzazione che si concretizzava, e si concretizza ancor oggi, in politiche discriminatorie nei confronti degli sciiti. Come la facile concessione della cittadinanza ai migranti sunniti nel tentativo di rovesciare la composizione demografica del regno.
Ma il Bahrein, per quanto minuscolo e poco noto, è una pedina fondamentale nello scacchiere mediorientale e di fronte a questo le richieste dei bahreiniti, non soltanto sciiti, vengono facilmente ignorate. L’Arabia Saudita lo considera suo bacino di influenza e nel 2011 inviò le sue truppe, sotto la bandiera del Consiglio di Cooperazione del Golfo, per soffocare nel sangue la sollevazione.
A mettere a tacere gli sciiti ci ha poi pensato la famiglia reale Al Khalifa, con leggi liberticide e repressione contro le manifestazioni che non si sono mai fermate dopo lo sgombero di piazza La Perla, e in diversi casi hanno preso anche una piega violenta. Si contano attentati dinamitardi contro caserme e poliziotti, soprattutto nei villaggi sciiti. Ma si contano anche centinaia di prigionieri politici nelle carceri bahreinite, dove la tortura è una pratica diffusa, denunciata da diverse organizzazioni internazionali.
Le promesse di riforme non sono state mantenute e con il pretesto della sicurezza si lascia mano libera alla repressione. D’altronde, il Bahrein è come una portaerei occidentale nel Golfo: ospita la V flotta Usa ed è in costruzione la prima base militare permanente del Regno Unito nell’area del Golfo persico. È il bastione occidentale e saudita contro le mire espansionistiche di Teheran.
È per questa ragione, spiega l’ex deputato bahreinita Ali Al Aswad, esponente della principale forza di opposizione Al Wefaq, che la primavera bahreinita è ignorata. Ma questo non significa che si sia spenta e al contrario rischia di infiammarsi, se sottovalutata. E non si tratta di uno scontro confessionale, continua Aswad, perché ci sono una monarchia assoluta e un popolo che chiede democrazia: “È una questione di diritti”. Ma certo il settarismo rischia di diventare parte dell’equazione, in un Medio Oriente attraversato sempre più da tensioni religiose.
Tra un mese sarà il quinto anniversario della primavera bahreinita. Negli ultimi anni è stato occasione di proteste e scontri. Ma prima ancora dell’anniversario, c’è il processo di appello (14 gennaio) ad Ali Salman, segretario generale di Al Wefaq, incarcerato un anno fa con le accuse di incitamento all’odio e all’uso della violenza per rovesciare il governo. Nena News
Guarda l’intervista ad Ali Al Aswad
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