Teheran-Riad, alta tensione. Diplomazia al lavoro

Teheran-Riad, alta tensione. Diplomazia al lavoro

Il segretario di Stato Usa, John Kerry con il sovrano saudita Salman

Il segretario di Stato Usa, John Kerry con il sovrano saudita Salman

E quattro. Dopo Bahrain, Sudan ed Emirati Arabi Uniti anche il Kuwait si è unito oggi all’Arabia Saudita richiamando il proprio ambasciatore in Iran. E sempre oggi, nell’escalation di rappresaglie diplomatiche, le autorità iraniane hanno deciso di sospendere il pellegrinaggio minore alla Mecca giustificando la decisione con le condizioni di sicurezza rivelatesi assai scarse dopo il tragico incidente del settembre scorso quando in una calca infernale morirono migliaia di pellegrini.

La tensione dunque tra Riad e Teheran resta altissima dopo l’esecuzione a opera del boia saudita dello sceicco iraniano Nimr al-Nimr e le speranze sono legate alle missioni diplomatiche annunciate dagli Stati Uniti e dall’Onu.

Dopo l’esecuzione dello sceicco, c’erano state violente proteste in Iran con l’assalto all’ambasciata saudita e a un consolato nella seconda più importante città dell’Iran. Immediata la risposta diplomatica di Riad con la rottura delle relazioni diplomatiche, seguita dalle altre capitali del Golfo e del Sudan, che ha espulso i diplomatici iraniani da Khartum, e la sospensione di tutti i voli da e per l’Iran.

Dal Consiglio di sicurezza dell’Onu è arrivata intanto la condanna «nei termini più forti» degli attacchi di dimostranti iraniani contro le sedi diplomatiche saudite e la richiesta all’Iran di proteggere il personale diplomatico saudita e le loro proprietà. Il documento, messo a punto dopo ore di negoziati, non menziona però l’esecuzione del religioso sciita, all’origine della vicenda, né quelle di altre 46 persone però chiede alle parti «di continuare il dialogo e prendere misure per ridurre la tensione».

«Condanniamo l’azione disumana, barbara e simile a quelle compiute dell’Isis, qual è stata l’esecuzione del leader religioso, sceicco al Nimr» ha detto il portavoce del governo iraniano, Mohammad Bagher Nobakht e nello stesso comunicato ha definito gli attacchi alle sedi diplomatiche saudite in Iran, «non degni del popolo iraniano».

Almeno sul piano verbale, e c’è solo da augurarsi che tale rimanga lo sviluppo degli avvenimenti, continua comunque il muro contro muro col presidente iraniano Hassan Rouhani che oggi ha detto che l’Arabia Saudita non può nascondere il «suo crimine» cioè non può far finta di non aver decapitato l’imam al-Nimr, insomma di aver avviato lo scontro. La rottura delle relazioni diplomatiche con Arabia saudita, Bahrein e Sudan, Paesi definiti «vassalli» da Teheran, non ha «alcun effetto» sull’Iran, ha detto il portavoce iraniano e ha aggiunto ironicamente che «l’Arabia Saudita patirà la rottura delle relazioni con l’Iran, anche se un grande Paese come Gibuti la sostiene».

In Bahrein intanto la popolazione, che è a maggioranza sciita, è scesa in piazza contro la monarchia regnante sunnita e fedele ai reali sauditi e contro la stessa Arabia Saudita per l’esecuzione dell’imam. Una imponente manifestazione si è svolta a Sitra, a sud di Manama, nonostante l’intervento della polizia che ha cercato di impedirla con l’uso di gas lacrimogeni e di fucili che sparano pallini di gomma, facendo numerosi feriti.

Re Salmn bin Abd al-Azz, 80 anni, in carica da un anno (23 gennaio 2015)

Re Salmān bin ʿAbd al-ʿAzīz, 80 anni, in carica da un anno (23 gennaio 2015)

Resta forte intanto l’imbarazzo dell’amministrazione Usa, fino a ieri alleato protettore della monarchia saudita. Il fatto determinante è che non c’è più il collante dell’oro nero, quello che aveva stretto in un patto d’acciaio l’America e le monarchie del Golfo perché oggi c’è l’autosufficienza energetica statunitense grazie allo shale oil, mentre il prezzo del barile sembra destinata a restare molto basso visto che il rallentamento dell’economia globale sembra tutt’altro che terminato, che è prevedibile l’arrivo sul mercato dell’ottimo greggio iraniano se non anche, chissà quando però, di quello libico e iracheno. Insomma il mondo da quelle parti si è rovesciato e se quattro anni fa – ricorda oggi il New York Times – i leader sauditi avevano rimproverato il presidente Obama e i suoi collaboratori per il mancato sostegno al presidente egiziano Hosni Mubarak durante la ‘primavera araba’, oggi dalle parti di Riad si comincia a temere che Obama potrebbe fare la stessa cosa se le rivolte diffuse nel regno saudita e dintorni, dovessero prendere una brutta piega.

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